
Cercando di tracciare una storia della fotografia di matrimonio mi sono imbattuto in una riproduzione di un dipinto del 1879 realizzato dal pittore francese Pascal Dagnan-Bouveret.E’ un olio su tela. Pascal Dagnan-Bouveret ama i ritratti, il naturalismo, le scene di genere.Cosa raffigura questo dipinto?Una famiglia vestita a festa. Gli sposi sui trenta, lo sposo in frac e cilindro, la sposa in abito bianco, un abbigliamento sicuramente meno adottato nel XIX secolo che oggi. I nostri antenati indossavano spesso il loro abito più bello per il loro matrimonio, o se lo facevano realizzare espressamente, ma non necessariamente bianco, piuttosto in toni scuri, per poterlo riutilizzare. I due coniugi indossano dunque abiti molto eleganti. I loro parenti non sono da meno. Ma senza strafare! Eccetto gli sposi, l’eleganza degli abiti si concentra sugli accessori: cappelli, nastri, fazzoletti da taschino, la ghetta della scarpa del personaggio seduto in primo piano a destra. Senza la presenza della coppia, non si può intuire che si tratta di un matrimonio. La famiglia ha investito tutto sull’abbigliamento degli sposi e si è accontentata per gli altri membri degli abiti della domenica, arricchiti di elementi che tradiscono l’importanza del momento. Si tratta di due famiglie della piccola borghesia francese della fine del XIX secolo, non abbastanza agiata per abiti in seta colorata, ma abbastanza per dimostrare che possono offrire ai loro figli un bel matrimonio con abito bianco, frac e fotografia. Tutto nel quadro tradisce la solennità del momento dello scatto fotografico; ogni cosa dovrà essere perfetta affinché gli sposi appaiano belli e eleganti in una foto che tutti potranno guardare nella loro futura casa. Lo sposo gonfia il petto, alza la testa; la sposa si stringe al suo braccio, a esprimere il suo orgoglio per aver trovato un marito bello, e lascia che la madre sistemi le pieghe del suo vestito, del quale va senza dubbio fiera. La fotografia degli sposi rivestiva allora una tale importanza che tutta la famiglia assisteva alla realizzazione, proprio come a uno show. La realizzazione di una singola immagine richiedeva un investimento di tempo e attenzione sproporzionata rispetto alla immediatezza delle nostre foto di oggi. La foto, unica e sola testimonianza del fatto che l’evento era accaduto, doveva essere perfetta! Oggi potremmo restare delusi da una foto sbagliata. Immaginate dunque lo stato d’animo della sposa di quell’epoca, qualora avesse scoperto sull’unica foto del suo matrimonio una piega fuori posto del suo abito, o una smorfia di suo marito. Guardiamo adesso l’atelier del fotografo. Molte cose ci dicono che siamo nello studio di un vecchio fotografo, già affermato, che ha consacrato la sua vita al lavoro. Gli sposi possono fidarsi di lui: la foto sarà perfetta! Cosa si rappresenta in questo teatro? La commedia dei costumi di un matrimonio borghese francese, una famiglia nei loro abiti da festa, che cerca di mettere in scena il successo sociale rappresentato da un matrimonio riuscito, in un decoro artificiale che evoca le situazioni romantiche del giorno del matrimonio. Ma la magia del palco scompare rapidamente leggendo il piccolo cartello appeso sopra la porta: “Siete pregati di lasciare un acconto prima di uscire.” Quando la luce sarà spenta, e gli attori e gli spettatori se ne saranno andati, lo spettacolo proseguirà sul tavolo sotto lo specchio in una piccola cornice. Il tavolo è un secondo piccolo palcoscenico, spostato, dove lo spettacolo continuerà la sua rappresentazione per anni. La fotografia non è lì per rappresentare fedelmente la realtà, come si tende a credere: in essa si ricrea un mondo artificiale dove degli sposi agghindati posano in una scenografia teatrale. In questo spazio i vari personaggi si scambiano sguardi. Sguardi evidenti del fotografo verso il suo soggetto, e degli sposi in posizione frontale, verso il fotografo. I familiari tutti guardano la sposa e lo sposo, ma verso loro nessuno guarda. La sposa ignora la madre inginocchiata ai suoi piedi. Solo il padre autoritario guarda il suo bambino. In questo quadro, tutto ciò che è guardato acquista importanza, e ciò che non lo è rimane nell’ordine della scenografia. E a noi, qualcuno guarda? Ebbene si. Chi? La bambina: la sua attenzione è rivolta all’osservatore, o al pittore, che si trova alla fine dell’atelier, che osserva in silenzio. Lei, il più isolato dei personaggi, è l’unica che ha un rapporto con il mondo esterno al quadro; ci guarda, e non dice nulla. Metodo convenzionale, potreste dirmi, Masaccio lo ha fatto prima di lui. In questo dipinto la macchina fotografica, il laboratorio e la superficie del quadro sono strettamente legate tra loro come le bambole russe (matrioske): Il matrimonio esiste nel tempo e nello spazio poiché la fotografia lo attesta; l’atto di scattare questa foto esiste nel tempo e nello spazio grazie al dipinto del pittore; e io esisto in quanto osservatore, perché il quadro mi guarda. Ci è sembrato divertente raccontare la nascita di Elab e l’unione dei due studi fotografici partendo proprio dal dipinto di Dagnan-Bouveret e realizzando nel nostro studio una rivisitazione fotografica di esso. Per questa rivisitazione ci siamo improvvisati attori di questa rappresentazione simbolica del giorno del matrimonio. Il risultato? lasciamo a voi giudicare. L’unica cosa che possiamo dirvi è che ci siamo molto divertiti come potrete vedere nel “making of” video che trovate pubblicato in calce.
Emanuele Carpenzano
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